Cineforum - “I Cento passi”: la mafia uccide, l’indifferenza pure

Con la candidatura per il miglior film al David di Donatello e per il miglior film straniero ai Golden Globe, "I cento passi" è un film del 2000 diretto da Marco Tullio Giordana, dedicato alla vita e all'omicidio di Peppino Impastato, la cui tragica morte rimase, all'epoca, oscurata dal ritrovamento, nello stesso giorno (9 maggio 1978), del corpo di Aldo Moro.

La sua fu una vita di lotta contro un'organizzazione ormai radicata nella Sicilia della sua epoca: rappresentò un megafono per tutti gli uomini e le donne costretti a sottostare silenziosamente al volere delle famiglie mafiose. Inoltre, tramite la fondazione della propria radio, Radio Aut, tentò di informare la popolazione con notizie vere e non mediate dalle autorità locali e, quando decise di approdare alla scena politica, fu assassinato.

Chi non segue il gregge fa paura perché significa che ha una testa per pensare e capire autonomamente, senza sottostare passivamente a ciò che viene trasmesso da chi detiene il potere. Rappresenta un problema per i potenti che vedrebbero diminuire notevolmente il loro potere e controllo sulla popolazione, quindi è necessario fare la voce grossa e prendere decisioni drastiche per salvaguardarsi. Per questo Peppino è stato prima picchiato, poi legato, portato sui binari ferroviari e fatto esplodere: bisognava disintegrarlo, cancellare la sua esistenza per eliminare anche le sue idee rivoluzionarie. Tuttavia Peppino era riuscito a smuovere le coscienze dei suoi compaesani, i quali si riunirono in centinaia il giorno del suo funerale in segno di sostegno e impegno a testimoniare i suoi ideali. Era riuscito a svegliare una popolazione dormiente prima che fosse troppo tardi e che non si accorgesse più di niente.

Il teatro di queste vicissitudini è stato Cinisi, un comune in provincia di Palermo, che adesso ospita un museo in memoria di Peppino e della sua lotta nella casa della famiglia Impastato. Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato nasce nel 2005 con l'intenzione di diffondere la verità e chiedere giustizia contro la violenza mafiosa. È intitolata anche alla madre, Felicia, che è stata tra le prime donne a ribellarsi alla cultura dell'omertà e del silenzio: ha aperto le porte di casa a quanti fossero interessati a conoscere la verità. Ha sempre lottato per ottenere giustizia per il figlio, anche contro coloro che hanno spesso tentato di cancellare o sporcare la memoria di Peppino, declassando il suo assassinio a suicidio oppure depistando le indagini.

Grazie alla sua resilienza esemplare, il boss Gaetano Badalamenti è stato riconosciuto come mandante dell'assassinio e condannato all'ergastolo nel 2002.

Lo scorso 19 marzo, il nostro liceo ha organizzato un incontro con Giovanni Impastato, fratello del martire, a cui hanno partecipato tutte le classi quarte. Potremmo definirlo un attivista che visita le scuole di tutta Italia, raccontando il suo vissuto senza censure e facendo conoscere l'operato della sua associazione antimafia e la casa memoria della sua famiglia.

In un clima di generale curiosità da parte degli studenti, il sentimento che più di tutti è sembrato trapelare dalle parole di Giovanni è stato la speranza che la mafia si possa sconfiggere - sono riusciti ad ottenere la condanna del boss Badalamenti e la confisca della sua casa, adesso affidata all'associazione Peppino Impastato per scopi educativi. Per questo, nonostante l'età, continua a viaggiare di regione in regione per sensibilizzare la fascia di popolazione che non ha vissuto personalmente le atrocità della mafia della fine del secolo scorso, ma che potrà comunque continuare a lottare per il desiderio di un'Italia libera dalla criminalità organizzata.

Perché, all'epoca, solamente Peppino sembrava rendersi conto che a cento passi da casa sua abitava il boss di Cinisi?

Propongo la lettura di un monologo molto suggestivo di un amico di Peppino, Salvo Vitale, espresso dopo la sua uccisione: "Spegnetela questa radio, voltatevi pure dall'altra parte, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che Peppino non aveva. Domani ci saranno i funerali. Voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, ci identifica, ci piace. Noi siamo la mafia".

La mafia continua a vivere perché le istituzioni e il popolo italiano non si impegnano sufficientemente per sradicarla completamente dalla nostra cultura, perché, finché non ci riguarda in prima persona, pensiamo di essere esclusi dalle dinamiche della criminalità e di non poter fare null'altro che girarci dall'altra parte.

 

La mafia uccide, il silenzio e l'indifferenza pure.

 

Serena Battiante (4M), gruppo F

Allegati

I cento passi.pdf

Ultima revisione il 30-04-2024